In questi giorni parlando con le donne dei miei paesi sulla violenza domestica del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza su donne e minori mi sono sentita dire e ie une robe simpri stade e simpri e sarà” “ coventarès une conference ogni di e no une volte ogni an” “ viodie chi chest segn, o ai alçât il brac par difindi me mari e me pari mi a scotade me cul tireboris, o soi cressude cu le pôre di me pari zelôs e violent, a mi mi difindeve me fradi grant”. Giusto il titolo cumo vonde.
La violenza domestica esercitata dagli uomini contro donne bambini e bambine ha provenienza antichissima , passata dalla società grecoromana alla civiltà cristiana medioevale attraverso la figura di santa Monica, moglie bastonata sempre discreta e sottomessa, come ricostruisce Marco Cavina nel saggio intitolato “ Nozze di sangue”, assegna agli uomini il diritto di educare e plasmare al proprio volere moglie figli e figlie utilizzando a tal scopo mezzi coercitivi a loro scelta, fino alla morte. Anche i mariti migliori, come il menager di Parigi vissuto nel 1400, un mercante sessantenne sposato ad una ragazzina di 15 anni, nel suo libro di famiglia insegna tutto alla moglie, che deve comportarsi come vuole lui in ogni occasione e momento della giornata. Dobbiamo aspettare la fine del 1700 per avere i primi segnali di critica alla cultura dominante Sarà poi soprattutto nel secondo ‘900 che si sviluppa la cultura della pari dignità. Il principio di uguaglianza senza distinzione di sesso ribadito più volte nella nostra Costituzione , sancito nell’articolo 3, che indica di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena uguaglianza dei cittadini e delle cittadine difronte alla legge, farà fatica ad affermarsi nella legislazione successiva, infatti per arrivare al nuovo diritto di famigli dobbiamo aspettare il 1975 e solo nel 1981 verrà abolita dal codice penale la legge sul delitto d’onore. Questa violenza è stata storicamente invisibile, non solo per il silenzio delle donne, perché ammettere di aver subito violenza può essere molto doloroso e difficile, ma anche perché appariva come “naturale” e legittima. Nell nostro paese come in tutto il resto del mondo è ancora una della maggiori cause di morte e malattie delle donne, Finalmente da alcuni decenni il fenomeno della violenza domestica è oggetto di crescente attenzione, oggi necessita di adeguata rappresentazione perché rimane un fenomeno ancora nascosto, malgrado sia molto frequente, si calcola coinvolga una donna su tre nel corso della sua vita, nel 2006 un’indagine Istat ha indicato in 7 milioni le donne italiane che hanno subito violenza. In regione sappiamo ad esempio soltanto che sono circa un migliaio ogni anno le donne che intraprendono un percorso di aiuto e di sostegno nei centri antiviolenza i dati risalgono al 2010. Il numero risulta comunque sottostimato rispetto al fenomeno, perché mancano i casi delle donne che si sono rivolte alle forze dell’ordine, ai reparti di pronto soccorso degli ospedali, ai medici di base e perché alcune delle donne che hanno contattato i centri per informazioni non hanno poi dato seguito al contatto con un percorso di aiuto con il centro stesso (si stima circa un 20%).
Questa forma ancestrale di violenza è legata alla disparità di valutazione e trattamento della donna nella nostra società e nella cultura profonda del nostro paese e del nostro territorio, ove permangono ancora situazioni di gravi disparità, nel mondo del lavoro, delle professioni, nella politica, nei rapporti famigliari, nell’accudimento e nella cura dei familiari, conciliare i tempi di lavoro e famiglia è ancora un problema quasi del tutto femminile. Anche la Convenzione di Istambul sottolinea l’importanza della cultura e del ruolo della formazione per contrastare la violenza. Nelle premesse è scritto slide
Una società intera deve essere in cammino se si vuole eliminare l’aspetto più terribile, oscuro e antico della disparità di genere: la violenza esercitata in famiglia dagli uomini sulle donne e i loro figli e figlie. I costi emotivi, morali, psicologici, psichiatrici e sociali di questa violenza sono incommensurabili, sono stati invece calcolati i costi economici che ammontano ogni anno in Italia a 17 miliardi di euro, tra costi sanitari, i maggiori circa 640 milioni di euro, spese farmaceutiche, servizi sociali, assenze dal lavoro, interventi delle forze dell’ordine, della magistratura, processi, incarcerazioni. Per la prevenzione sono stanziati invece 6 milioni di euro.
La legislazione oggi in Italia ha avuto un forte impulso dalla Convenzione di Istambul che ha definito con chiarezza di lessico i concetti legati al tema della violenza che si consuma in famiglia, ha impostato un quadro complessivo di riferimento, una sistemazione e una classificazione di tutte le forme di violenza esercitate sulle donne e i minori, che subiscono direttamente o assistono alla violenza. Ha poi indicato le azioni da intraprendere e gli impegni degli organi di governo a tutti i livelli, nazionale, regionale, territoriale. La legge italiana 77/2013 accoglie i principi della Convenzione di Istambul ma ora si tratta di stanziare i fondi, coordinare e attivare i servizi per rendere la legge operativa.
In Italia ogni anno 130 donne vengono uccise dai loro partner, mariti conviventi, nel corrente anno i dati peggiorano siamo arrivati a 170 omicidi, in provincia l’anno nero delle uccisioni è stato il 2012
Veniamo ai dati regionali
Ufficialmente 1000 donne in regione intraprendono un percorso presso i centri antiviolenza, ma altre si recano nei reparti di pronto soccorso degli ospedali, dalle forze dell’ordine, ne parlano con il medico di famiglia, di queste non emerge alcun dato in rapporto agli altri. In regione funzionano i centri antiviolenza soprattutto a Trieste, Gorizia e Pordenone, a Udine il Comune ha attivato il servizio “Zero tolerance” a cui fanno riferimento anche territori circostanti. Negli ospedali di Gorizia e Monfalcone sono avviati i codici rosa, le donne e i minori che si presentano con segni evidenti di violenze vengono avviati verso questo servizio dove trovano una equipe che li cura, li assiste, li consiglia, li indirizza. Iniziative di attenzione sono avviate negli Ospedali di Tolmezzo, Pordenone, San Daniele. Protocolli antiviolenza sono stati siglati in tutte le Province, coinvolgono prefetture, forze dell’ordine, aziende sanitarie e ospedaliere, procure della repubblica, tribunali, ordini degli avvocati, comuni, province, centri di orientamento scolastico e uffici scolastici provinciali. Molto si sta facendo, ma ancora non basta, il fenomeno è ancora nella maggior parte dei casi sommerso. Si propone da più parti un osservatorio regionale che raccolga sistematicamente tutti i dati, promuova e coordini ricerche, favorisca interventi di formazione, sensibilizzazione e prevenzione, coordini le iniziative, segnali e diffonda le buone pratiche già esistenti, faciliti il trasferimento delle conoscenze, fornisca informazioni e supporto tecnico. Ancora mancano in Italia e in Regione fondi stanziati per la prevenzione nelle scuole, per la formazione adeguata del personale, supporti alle donne vittime di violenza per aiutarle a riprendere una vita accettabile con sostegno alla ricerca di una casa coinvolgendo le Ater e del lavoro attraverso i LPU, sono proposte già avanzate alla regione. Sono interventi che hanno successo se coordinati insieme, ma è necessario farlo per un benessere sociale comune e condiviso. Pertanto queste serate nei comuni per me sono fondamentali per parlarne dovunque e avviare dovunque quei servizi che ogni territorio può offrire: con il supporto dei medici di base, dei farmacisti, degli assistenti sanitari e sociali, delle forze dell’ordine, delle istituzioni scolastiche dei servizi dei comuni.
E’ interessante per penetrare un po’ meglio nel fenomeno analizzare i dati raccolti tra le donne che si rivolgono al servizio “Zero tolerance” del Comune di Udine per capire che cosa sta sotto il fenomeno della violenza domestica e quali sono le caratteristiche delle vittime e dei maltrattanti.
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