Abbiamo davanti agli occhi i ritratti delle grandi famiglie patriarcali contadine friulane che si sono sciolte definitivamente nel secondo dopoguerra. Era necessario per sopravvivere condividere la vita nelle grandi case con fratelli, cognate, nipoti, sotto il governo del patriarca e della reggitrice. Non è che si stesse bene, oltre alle difficoltà economiche, pesava doversi sottomettere e condividere ogni cosa. Alla intimità delle coppie di sposi era concessa la camera matrimoniale, condivisa con i figli e le figlie più piccoli. Sarà l’emigrazione maschile definitiva e stagionale a partire dagli inizi del ‘900 (rispettivamente 926 e 45.000 emigranti nel 1902, 8.000 e 72.000 emigranti nel 1914) a intaccare la funzione della famiglia patriarcale, si formano le prime famiglie mononucleari gestite dalle donne che dimostrano grandi capacità complessive, sia sociali che economiche. Con i mariti lontani per lunghi periodi dell’anno, le donne dimostrano di essere in grado di crescere i figli, curare gli anziani, comprare e vendere prodotti agricoli, animali, sementi, trovare i braccianti a giornata, gestire le latterie sociali. Ancora durante la seconda guerra mondiale moltissime donne reggono da sole le famiglie, mentre gli uomini sono spediti nei vari fronti dove il governo fascista ha impegnato le sue truppe. Esse devono preoccuparsi di procurare il cibo, organizzare lo sfollamento con bambini e anziani, mentre il governo fascista non aveva previsto l’ammasso di alimenti per i civili, piani di evacuazione, mancavano i rifugi antiaerei e finanche le sirene di allarme. Nell’immediato dopoguerra ancora le famiglie italiane devono far fronte a difficoltà abitative, carenze alimentari, gli uomini traumatizzati o feriti dalla guerra e dalle lunghe prigionie devono reinserirsi nella vita civile, le vedove devono cavarsela da sole. Ma sono anche gli anni in cui partono il riscatto morale, culturale, sociale e la rinascita economica dell’Italia. Gli anni nei quali alle donne è concesso l’elettorato attivo e passivo. In un clima di entusiasmo e fiducia viene scritta la nostra Costituzione. Essa riconosce il ruolo fondamentale della famiglia, definita società naturale fondata sul matrimonio(art.29). E’ una famiglia gerarchicamente organizzata sulla potestà maritale, ad essa le donne devono dedicare la loro essenziale funzione(art.37) . Ma la realtà economica e sociale è in tumultuosa trasformazione, il boom economico, a partire dagli anni ’60, fa si che molte famiglie, che finalmente ottengono un reddito regolare, possano fare progetti per il futuro, tra cui investire sull’istruzione dei figli e delle figlie, concedersi condizioni di vita più agiate, comperare i primi elettrodomestici. L’emigrazione interna comporta trasferimenti dal Sud al Nord del paese, si mescolano e confrontano culture, abitudini, linguaggi, stili di vita. Saranno gli anni in cui si modifica la legislazione a favore della maternità, dei servizi ai minori, viene sancito il diritto all’istruzione fino a 14 anni con la scuola media unica del 1962, il paese guarda al suo futuro e investe sui giovani e le giovani, che frequenteranno di lì a qualche anno in massa le scuole superiori, mentre resta su valori più bassi l’iscrizione alle Università . Sono anche gli anni di grandi battaglie culturali e politiche che trasformano la struttura della famiglia e i rapporti al suo interno. Il potere maritale e paterno viene limitato, si introducono finalmente i valori della parità dei coniugi, le pari dignità e responsabilità di entrambi nei rapporti familiari. Vengono introdotte la legge sul divorzio, che consente di sciogliere il matrimonio, le leggi sull’aborto, sulla libertà di informazione per la contraccezione, contro la violenza sessuale, per l’istituzione di consultori. Viene finalmente riscritto un nuovo diritto di famiglia che stabilisce pari diritti e doveri tra i coniugi e la tutela del la personalità e del la volontà dei figli e delle figlie, anche nati fuori dal matrimonio. Nel 1983 viene promulgata la legge che consente ai padri di ottenere il congedo di paternità entro il primo anno di vita del bambino. Sarebbe il momento, perché ci sono le risorse, per avviare una seria politica di welfare, creare strutture efficienti per garantire servizi sociali a sostegno della famiglia, dal momento che cresce l’occupazione femminile in maniera consistente. Servirebbero asili nido, orari scolastici di 40 ore nelle scuole primarie, mense, strutture per l’accoglienza degli anziani, servizi per i disabili. I governi invece monetizzano parzialmente le famiglie con assegni anche minimi per i figli e il coniuge a carico, per l’assistenza agli anziani non autosufficienti, con le pensioni di molto anticipate, fino al 2010, per le donne a cui si riconosce l’onere del doppio o triplo lavoro. Oggi questa mancanza di servizi sociali pesa tantissimo , è un dramma che l’Italia si trascina da allora. Da un lato si impedisce alle donne, impegnate nella gestione della famiglia, di espletare le loro capacità e potenzialità e contribuire appieno alla crescita del paese. Dall’altro viene sacrificato un settore economico qual è quello dei servizi che, come è stato dimostrato dal piano Borloo in Francia nel 2010, accresce l’occupazione femminile e il PIL, come avviene in tutti i paesi che si dotano di una struttura efficiente di servizi sociali, che permette alle donne di lavorare, accrescere il reddito familiare e fare figli. Lo Stato italiano con i finanziamenti diretti, anziché offrire servizi per aiutarle , delega alle famiglie stesse i problemi. In un’indagine Istat del 2003, ad esempio, risulta che il 60% dei bambini è affidato ai nonni, solo il 20% frequenta l’asilo nido. Le famiglie sono dunque la fonte primaria dell’assistenza prestata ai rispettivi congiunti, mentre le persone totalmente indigenti possono rivolgersi a servizi locali, disugualmente disponibili nei territori, perché la legislazione italiana non prevede il diritto all’assistenza. La quadratura di questo specifico cerchio in moltissimi casi è stato risolto riportando in auge la forma premoderna del servizio domestico: le domestiche coabitanti. Nel 2000 le badanti risultano essere più di 1 milione, se ne servono l’8,1% delle famiglie, si tratta per lo più di donne immigrate. In queste condizioni assistiamo inoltre al drastico calo delle nascite, tra i più bassi del mondo (il fondo è stato toccato nel 1995 con 1,18 figli per coppia, poi il dato è leggermente risalito) e il permanere a lungo dei figli e delle figlie nella stessa casa dei genitori. Spiga il demografo Dalla Zuanna “I giovani esitano a rinunciare alla sicurezza della “gabbia dorata” finendo per rimanere single, questo prolungarsi della protezione rende i giovani avversi al rischio… La famiglia lunga offre molte comodità”, ma nel tempo ha tolto anche capacità di intraprendere e coraggio nel mettersi in gioco. Questa situazione tipica italiana, dipende dall’impossibilità a mantenersi fuori casa durante gli studi, per l’assenza di ogni forma di sostegno, dalla persistenza di condizioni di precarietà del lavoro, caratterizzato da una flessibilità spinta a cui non ha fatto da contraltare alcuna sicurezza, secondo il modello della flexsecurity, applicato nel Nord Europa. Dal 2008 in poi la crisi ha comportato ancora una diffusa disoccupazione giovanile a cui risponde solo la famiglia, spesso in crescente difficoltà in questi ultimi anni, perché anche i genitori patiscono difficoltà occupazionali e i redditi si dono molto ridotti, innescando un circolo vizioso al ribasso che alimenta la crisi. La Banca d’Italia, in un recente studio, ha evidenziato il danno economico creato dalla mancanza di servizi di qualità che permettano a tutti i cittadini e le cittadine soprattutto giovani di avere pari opportunità di accesso. Il familismo, causando situazioni di profonda diseguaglianza, impedisce di fatto a molti e molte giovani di valore di esprimere e realizzare le loro potenzialità e la piena realizzazione della stessa democrazia. Che fare? Serve una decisa presa di coscienza di questa realtà per invertire la rotta, investire sui figli e le figlie tramite la scuola di qualità, l’alta formazione universitaria, il sostegno nella ricerca dell’occupazione servendosi in maniera molto più efficace dei fondi europei e utilizzando meglio le risorse nazionali. E’ necessario creare le condizioni perché anche le donne di ogni condizione, possano conciliare il lavoro e la famiglia per realizzare anche nei livelli più alti delle professioni le loro capacità e contribuire alla rinascita del nostro paese. Un altro grave problema riguarda la violenza domestica che si consuma contro donne e minori. La convenzione di Istambul del 2011, trasformata nel giugno del 2013 in legge dello stato italiano, indica che il fenomeno è mondiale ed europeo. Ma il nostro paese, dove ogni anno vengono uccise dai partner o ex partner circa 120 donne, deve dotarsi degli strumenti necessari per prevenire, contrastare il fenomeno, proteggere le vittime e punire i violenti. Anche in questi drammatici casi la famiglia necessita di aiuto e supporto.
Paola Schiratti
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