Norme ambiziose per chiudere le società partecipate, norme rigide e precise: entro il 30 giugno 2013 i comuni al di sotto dei 30.000 abitanti avrebbero dovuto dismettere o chiudere le partecipate, poi ci sono state deroghe e proroghe. Ma soprattutto non si costruiscono le premesse per iniziare seriamente  a cambiare qualcosa. Dal 2008 vengono ogni anno emanate norme, che contengono passaggi non coerenti, che prevedono la chiusura delle società  che invece aumentano dell’8% all’anno. I debiti delle 7.800 partecipate ammontano a 42 milioni di euro, sono il 2,5% del PIL, il personale costa 15 miliardi.  Metà dei bilanci degli enti locali sono riversati nelle partecipate che di fatto gestiscono tutti i servizi. Ma questi bilanci non entrano a far parte del conto economico dell’ente locale ed evitano tutti i controlli. I dissesti dei Comuni dipendono dai dissesti delle partecipate che vengono accollati agli enti locali. Sono risorse enormi che potrebbero essere investite nella ricerca, nello sviluppo economico, nel sociale. Invece sono soldi buttati da incapaci che giocano a fare gli imprenditori con i soldi degli altri. Nella nostra provincia pensiamo alla EXE che non viene chiusa dalla Provincia di Udine malgrado non faccia niente, abbia accumulato debiti, abbia 6 dipendenti stipendiati, un Direttore e un Presidente ricompensati con più di 100.000 euro all’anno e lo scorso anno abbia speso 50.000 euro per l’acquisto di una macchina. Lo stesso dicasi per i milioni di euro di debiti accumulati dal Consorzio Aussa Corno, chi li pagherà? Come sempre i contribuenti. E chi ha giocato con i soldi pubblici non ha responsabilità. Il paese necessita di regole meno ambiziose ma certe sulla gestione e la chiusura delle società partecipate inutili, con doppioni di servizi, con bilanci in deficit, chiudere queste società disastrose  libererebbe risorse e darebbe ossigeno all’economia e alla società.